Come può un architetto migliorare la vita delle persone?

In un momento storico segnato dalla centralità delle esperienze e da una massiccia digitalizzazione della vita, il rapporto tra essere umano e spazio cambia, si trasforma. L’architetto evoluto non può non tenerne conto; deve quindi esplorare i nuovi bisogni che emergono nei suoi clienti, sposando una missione precisa: migliorare la vita delle persone attraverso il suo operato.

Da spazio ad ambiente: il concetto di Habitat

Spazio
pl. -zi
1. estensione limitata, circoscritta, libera o occupata da corpi.

Ambiente
pl. -i
1. il luogo, lo spazio fisico, le condizioni biologiche in cui un organismo si trova, vive.

Quale delle due definizioni (prese dal Dizionario della Lingua Italiana Garzanti) vi dà la sensazione di un qualcosa in cui si può esistere, respirare, vibrare, vivere? Secondo noi la seconda, ambiente.

Gli architetti impegnati nella progettazione di una casa – e perché no, anche di un ufficio o di un albergo –  dovrebbero partire dall’obiettivo di creare ambienti, non spazi, e anzi, dovrebbero guardare oltre, spingersi verso il concetto di Habitat:

1. (biol.) l’insieme delle condizioni ambientali che permettono la vita e lo sviluppo di determinate specie vegetali e animali;

2. il complesso delle condizioni ambientali, delle strutture e dei servizi che caratterizzano un’area di insediamento umano, l’ambiente congeniale all’indole, alle abitudini di qualcuno.

Quest’ultima frase ci ha condotti a sposare l’Habitat come filosofia guida ed è ciò che condividiamo con tutti gli altri architetti del nostro collettivo.
Le persone, esseri viventi, popoleranno i luoghi che andremo a definire, e non possiamo non tenerne conto. Non basta proporre un insieme di prodotti, è necessario realizzare un qualcosa di armonico in cui poter essere umani e comportarsi come tali, un qualcosa che tenga conto della personalità, delle abitudini, dei movimenti, del carattere, oltre al mi piace/non mi piace, sempre più proiettati al mi fa stare bene.

Tutto ciò assume una valenza ancora più forte in un momento storico in cui le persone si stanno sempre più “spersonalizzando” dato che azioni e comportamenti vengono sistematicamente filtrati da strumenti digitali, che velocizzano, è vero, ma dall’altro lato tolgono il calore del contatto diretto, dell’uso dei sensi naturali.

Ecco allora che un habitat permette addirittura di ritrovare la propria umanità, recuperare l’indole, tornare in comunione con se stessi.

L’architetto, lo diciamo sempre, su questo tema è il punto di riferimento per le persone ed è suo naturale compito spingersi oltre la progettazione degli esterni di un edificio, o del layout degli spazi interni, arrivando ad assisterle anche nello studio del loro habitat. Ma tutto ciò, cosa c’entra con il migliorare la vita delle persone?

Progettare per le persone significa partire dalle persone

Dal più possente elemento d’arredo, come un divano o una cucina, al più piccolo e solo apparentemente insignificante complemento, come un portaombrelli, o uno specchio, tutto in un luogo dialoga con i suoi abitanti, tutto li influenza, tutto può farli sentire a proprio agio o, al contrario, arrivare a respingerli.

Il ruolo dell’architetto nella composizione di un habitat diventa quindi fondamentale e delicatissimo.

Attraverso l’Interior Design, l’architetto può letteralmente arrivare a migliorare la vita delle persone ma per riuscirci non deve prescindere da una regola chiave: partire dalle persone.

Come architetti, prima di lanciarci nella progettazione creativa dell’habitat, abbiamo il dovere di dedicare tempo e attenzione alle persone per cui stiamo lavorando: dobbiamo dialogarci, conoscerle, coinvolgerle nel racconto della loro storia, di chi sono, di come si sentono, di come si comportano, di cosa caratterizza il loro sentirsi sereni o, al contrario, cosa le irrita, le preoccupa, le fa sentire insicure.

Un’esperienza particolare forse? Un colore? Un’idea o un ricordo?

Non limitiamoci a chiedere “Che stile ti piace?”, “Hai una foto da mostrarmi di una casa che apprezzi?”. Facciamo qualche passo in più, saranno fondamentali!

Il nostro compito non è rendere fotografabile un ambiente, ma renderlo vivibile ed empatico, in comunione con chi ospiterà. Certo, l’occhio deve rimanere soddisfatto, ma cosa se ne fa una persona allergica alla polvere di tappeti pelosi, cuscini e poltrone non sfoderabili, angoli nascosti e difficili da tenere puliti?

Le persone che abbiamo di fronte dimostrano un po’ di imbarazzo, di resistenza? Forse è la prima volta che si confrontano con un architetto che chiede loro di aprirsi, di raccontarsi. Non rimaneteci male o, peggio ancora, non irrigiditevi a vostra volta. Il compito di trovare la chiave è nostro.

Creiamo una situazione accogliente, a partire dal nostro studio. Riceviamoli in un luogo caloroso, comodo: facciamoli sentire protetti. Confortiamoli, nessuno è lì per giudicare il loro gusto, il loro budget, né tantomeno le loro abitudini o necessità. Anzi, siamo lì per tenerne conto, ottimizzarli e valorizzarli.

Andiamo oltre, avviciniamoci in modo umano a chi abbiamo di fronte. Diventiamo alleati, confidenti e amici, anche se magari sarà un breve periodo, ma diverrà significativo: perché consegneremo loro un vero habitat, e avremo cambiato la loro vita in meglio, potenzialmente per sempre!